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L’umanità io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali.

La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare tutta la vita come bestie,
senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione,
sempre nell'ombra grigia di un'esistenza grama.

I caporali sono, appunto, coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri, invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla,  sempre al posto di comando, spesso senza avere l'autorità, l'abilità o l'intelligenza, ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il pover’uomo qualunque.

LA TEORIA "DISPOSIZIONALISTA" DI ANTONIO DE CURTIS

Il capitolo apre con l’apologo del film Siamo uomini o caporali, centrando fin da subito l’attenzione sul tema principale affrontato nel testo e su quell’aspetto della natura umana che è stato compagno della vita artistica dell’attore “Totò”.

La suddivisione degli esseri umani in modo apodittico in uomini e caporali del film rinvia ad un precedente interrogativo posto dal militare De Curtis in quello che si dimostrò il momento cruciale del giovane, il momento fatidico in cui, estrinsecò la celebre battuta «Siamo uomini o caporali?». In seguito all’immediata conferma fornita dalla reazione dei commilitoni De Curtis comprese, infatti di aver centrato un aspetto della natura umana fondamentale e di poter aver un futuro da attore trattando tale aspetto.

Da Totò ci si sposta all’esperimento più famoso della Psicologia Sociale le cui dinamiche ricordano l’esperienza di De Curtis: L’Esperimento Carcerario di Stanford. Con questo esperimento, nel 1971, Philip Zimbardo dimostrò con quale facilità dei “bravi” studenti universitari possono trasformarsi in guardie crudeli, ed altri in prigionieri obbedienti. In altre parole una descrizione del processo trasformativo di “caporalizzazione” che lo psicologo americano definì “Effetto Lucifero”.

Da Stanford ci trasferiamo ad Abu Ghraib, il carcere irakeno tristemente noto per gli abusi perpetrati dai militari americani a danno dei prigionieri irakeni. Le foto del 2004 che scioccarono il mondo mostrano ancora una volta il volto di un “caporale”, in realtà il sergente Ivan Frederick accusato dal sistema americano di essere la principale “mela marcia” della vicenda incriminata. Le forti analogie con l’esperimento di Stanford richiamarono Zimbardo a presentarsi come Pubblico Ministero al processo di Frederick per evidenziare l’influenza delle variabili situazionali rispetto a quelle disposizionali che vedono principalmente nell’individuo l’origine di ogni responsabilità e condotta.

Alla fine del capitolo un paragrafo induce a riflettere su come una variabile situazionale come l’adesione ad un ruolo possa influenzare la condotta del singolo e di come una transizione da una posizione di potere ad un abbandono dello stesso possa determinare degli scompensi emotivi nei soggetti. Il concetto che rinvia alle celebri intuizioni pirandelliane viene affrontato attraverso il vissuto emotivo del colonnello Cavalli ne Il comandante del 1964.

LA TEORIA "SITUAZIONISTA" DEL PROF. PHILIP ZIMBARDO

Con l'esperimento del 1971, Philip Zimbardo dimostrò con quale facilità dei “bravi” studenti universitari possono trasformarsi in guardie crudeli, ed altri in prigionieri obbedienti. Una descrizione del processo trasformativo di “caporalizzazione” che lo psicologo americano definisce “Effetto Lucifero”.

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Totò Esposito è una comparsa teatrale che, stanco delle angherie che subisce quotidianamente dall'amministratore del teatro di posa in cui occasionalmente lavora, minaccia di uccidere il suo superiore: viene però bloccato e sbattuto in una clinica psichiatrica, perché considerato pazzo.
Allo psicoanalista Totò racconta la storia della sua vita e di tutti i soprusi che gli sono capitati. 

leggi tutto (fonte: wikipedia)

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In questa sezione trovate una serie di riferimenti bibliografici su testi trattati nel primo capitolo.

Amorosi M., Ferraù A. (a cura di) con la collaborazione di Liliana De Curtis, Siamo uomini o caporali? Diario semiserio di Antonio De Curtis,  Newton, Roma 1993.

La storia di questo libro risale al 1941, anno in cui Alessandro Ferraù, allora direttore del settimanale "Cinemagazzino", dopo aver scritto la biografia a puntate dedicata ad Antonio de Curtis, diventa suo amico fraterno. In realtà era stato già pubblicato nel 1952 con scarso successo, a causa del fallimento dell’editore, ma anche perché, nonostante fosse amato dal pubblico, Totò, bistrattato dalla critica, risultava poco credibile come autore.

"... In questo clima, d’accordo con l’unica figlia Liliana, mi è sembrato giusto riproporre il diario, rielaborato con il prezioso contributo della giornalista Matilde Amorosi e arricchito di appunti ritrovati in fondo a un cassetto...".

Così scrive Ferraù nella riedizione di "Totò, siamo uomini o caporali?", riproponendo gli aspetti più intimi dell’artista e mettendo in risalto la "contraddittorietà dell’animo" di Totò, che dietro la sua irresistibile comicità nascondeva una forte vena malinconica.

leggi la "teoria di Totò" sugli uomini e i caporali

Zimbardo P., L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, Cortina, Milano 2008.

Cosa fa sì che i buoni diventino cattivi?

Philip Zimbardo, noto come l'ideatore dell'Esperimento carcerario di Stanford, racconta qui la storia di questo studio. A un gruppo di studenti furono attribuiti a caso i ruoli di "guardia" e "detenuto" in un ambiente carcerario simulato. Dopo una settimana lo studio fu interrotto perché quei normalissimi studenti si erano trasformati in guardie brutali e in detenuti emotivamente distrutti. Zimbardo descrive come certe dinamiche di gruppo possano trasformare in mostri uomini e donne perbene e ci permette di comprendere meglio fenomeni di estrema crudeltà, dalla disonestà delle multinazionali a come soldati americani prima degni di stima siano giunti a perpetrare torture su detenuti iracheni ad Abu Ghraib.

Works by or about Philip Zimbardo in libraries (WorldCat catalog)

Peterson C., Maier S. F., Seligman M., Learned Helplessness, Oxford University Press, 2011.

Il concetto teorico di Learned Helplessness coniato da Seligman è il frutto di ricerche di laboratorio con cani che venivano ripetutamente sottoposti a scariche elettriche in modo casuale rispetto alle loro risposte, i ricercatori rilevarono che gli animali diventavano incapaci di sottrarsi a situazioni dolorose anche quando le opzioni erano facilmente disponibili (gabbie aperte). Seligman correlò ciò che definì «learned helplessness» a un tipo di depressione umana e dimostrò che essa aveva componenti cognitive, emozionali e di comportamento. La teoria fu verificata e riformulata con esseri umani in laboratorio. Gli umani durante gli esperimenti avevano convinzioni pessimistiche e negative rispetto all’efficacia delle loro azioni e non si prefiguravano i risultati delle stesse. Gli animali e gli uomini mostravano deficit motivazionale in laboratorio. Mostravano, inoltre, segni di agitazione emotiva, fobie, disturbi del sonno, si ammalavano e avevano altri sintomi simili a quelli della Battered Woman Syndrome (Sindrome della Donna Maltrattata), sottocategoria della Sindrome PostTraumatica da Stress.

Zamperini A., Prigioni della mente, Einaudi, Torino 2004.

La ragazza americana con l'iracheno al guinzaglio. Un'immagine simbolo degli orrori della guerra. Due esseri umani travolti dalla violenza della storia e consegnati alla memoria collettiva. Una nel ruolo biasimevole di aguzzino. L'altro in quello compassionevole di vittima. Entrambi messaggeri di emozioni e cognizioni che vorremmo poter respingere lontano, confinandole in un altrove spazio-temporale.

Partendo da questa vicenda emblematica, il libro di Adriano Zamperini, con lo sguardo dello psicologo sociale, conduce il lettore là dove piú stringenti sorgono gli interrogativi. Dentro tre prigioni. Guantanamo, lembo di terra cubana. Stanford, seminterrato del dipartimento di psicologia. Londra, studi della Bbc. La prima, tragicamente reale. La seconda, una simulazione sperimentale degenerata in dramma. La terza, un'architettura carceraria stile Grande Fratello. Luoghi diversi eppure accomunati dalla medesima condizione: il loro essere siti dell'oppressione e della resistenza. Che cosa accade a persone comuni quando agiscono in situazioni estreme? Qual è il comportamento esibito da chi veste i panni di guardia e da chi assume il ruolo di prigioniero?
L'analisi delle relazioni che si instaurano tra le parti segregate in questi luoghi diventa materia indispensabile per comprendere la condotta umana. E per una presa di coscienza dei nuovi volti assunti dal male, anche e soprattutto all'interno delle società democratiche. Fornendo al contempo le coordinate per smascherare quei discorsi e quelle pratiche che pretendono di imprigionare le nostre menti dentro una realtà onnivora e univoca.

L’eredità dell’Esperimento di Stanford

I risultati dell’esperimento della prigione di Stanford furono pubblicati da Zimbardo e dai suoi collaboratori su diverse riviste scientifiche. Zimbardo trasse conclusioni che deponevano fortemente a favore di un’interpretazione situazionale, piuttosto che disposizionale, del comportamento umano: in un determinato contesto, forniti di autorità e di una sorta di “alibi” giustificante, ragazzi senza precedenti violenti, ben educati e di un buon ambiente sociale si trasformavano in poco tempo in “guardie” oppressive e sadiche. Chiunque, in altre parole, poteva essere spinto da un certo contesto a commettere abusi, ridimensionando le teorie su una eventuale “predisposizione” di alcuni individui ad esercitare l’autorità con violenza.
L’esperimento venne anche molto criticato negli ambienti della psicologia, e anche se un’indagine dell’American Psychological Association concluse nel 1973 che l’esperimento rispettava le linee-guida della professione, gli attuali regolamenti per gli esperimenti di psicologia, approvati successivamente, ne impedirebbero lo svolgimento.

Nel 2001, due professori di psicologia britannici, il professor Alex Haslam dell’università di Exeter e il professor Steve Reicher dell’università di St. Andrews, organizzarono un esperimento simile a quello di Stanford. Le registrazioni dell’esperimento vennero trasmesse nella miniserie in cinque puntate The Experiment, trasmessa dalla BBC a maggio 2002 (da cui il nome con cui è noto lo studio, chiamato “BBC Prison Study”). L’esperimento durò nove giorni, due meno del previsto, e le cose andarono in modo del tutto diverso rispetto allo studio di trent’anni prima: le guardie non si adattarono mai facilmente ai loro ruoli e i prigionieri si ribellarono il sesto giorno riuscendo a prendere il controllo della situazione, ma gli attriti all’interno del gruppo dei detenuti portarono a un nuovo regime in cui alcune guardie si coalizzarono con alcuni detenuti. Solo a questo punto si creò un sistema tirannico simile a quella della prigione di Stanford, e i supervisori decisero di interrompere l’esperimento.

L’eredità dell’esperimento di Stanford è ancora attuale: quando emersero le immagini e le notizie degli abusi sui prigionieri iracheni da parte delle guardie statunitensi del carcere di Abu Ghraib, quello studio sull’ambiente carcerario ritornò di attualità. Il professor Zimbardo, in pensione da pochi anni dopo una luminosa carriera come psicologo negli Stati Uniti, venne nuovamente intervistato. Nel libro Prigioni della mente. Relazioni di oppressione e resistenza (2004), il docente dell’università di Padova Adriano Zamperini ha messo l’esperimento di Stanford a fianco dei casi di Abu Ghraib e della base di Guantanamo.

Sull’esperimento della prigione di Stanford sono stati fatti numerosi documentari e film, nel 2001 Oliver Hirschbiegel realizzò la prima versione del film, una seconda versione si realizzò nel 2010, diretta dal creatore della serie tv Prison Break Paul Scheuring, con Adrien Brody e Forest Whitaker.

La versione "ufficiale" è l'ultima, realizzata nel 2015 dalla Sundance.

Il trailer

I split mankind into two categories: men and corporals.
Men are in the majority, while corporals are, luckily, a minority.
Men are the creatures forced to work like dogs all their lives, never seeing a ray of sunshine or enjoying the least satisfaction, always in the gray shadows of a wretched existence.
The corporals are the ones who exploit and oppress, who mistreat and humiliate others. These beings obsessed with their craving for money always manage to stay afloat, inevitably in a position of power, often without the necessary authority, ability or intelligence, but thanks only to their bare-faced cheek and arrogance, always ready to bully the poor workers.

A. De Curtis